di Alberto Cosseddu
Da molti anni, e ogni anno di più, l’inizio delle lezioni e l’avvicinarsi del suono della campanella è animato dalla ricerca di una promessa di vita, di senso e di pienezza, che assume sempre e di nuovo i tratti unici e singolari dei volti che si incontreranno: i volti dei bambini, dei ragazzi, i volti dei giovani, dei colleghi, degli amici. Ma a questa promessa, che abita quotidianamente i giorni di chi svolge la professione di insegnante, si accosta spesso una consistente quantità di incertezza, di fatica, di domande. Il mondo della scuola, non è mistero per nessuno, sconta da troppo tempo il prezzo di una certa indifferenza, di una insensibilità culturale, sociale, non di rado politica. Oltre all’entusiasmo che accompagna la ripresa delle lezioni, ogni anno si possono osservare i lunghi elenchi di docenti precari, che spesso dopo decenni non hanno ancora ottenuto una stabilizzazione, ogni anno ci si domanda se arriverà il rinnovo contrattuale, se arriveranno gli sperati concorsi (l’ultimo concorso per i docenti di Religione Cattolica risale al 2004), ogni anno si aspetta l’ennesima riforma, nella speranza che faccia meno danni della precedente.
In questa cornice, spesso intrisa di sentimenti contrastanti, vivono la loro esperienza professionale le centinaia di migliaia di insegnanti italiani. Questo periodo poi, in cui si avverte chiaro il fremito della campagna elettorale, sembra gettare ancor più disorientamento sulle fragili speranze dei docenti. Tutti i leader politici, nessuno escluso, si sono temerariamente spesi nel promettere l’innalzamento della retribuzione degli insegnanti, che attualmente vede l’Italia al di sotto della maggior parte dei Paesi europei, senza peraltro l’orizzonte di un significativo progresso di carriera. Davanti a questo spettacolo, soprattutto all’inizio dell’anno, ci si domanda chi sia e cosa sia chiamato a fare l’insegnante, come la sua professione oggi sia percepita, quale sia il ruolo dell’istituzione scolastica in un tempo ed una cultura così profondamente cambiati. Domande impegnative, a cui forse occorrerebbe dedicare anche nelle comunità scolastiche più spazio e più occasioni di confronto, soprattutto laddove la scuola viene assorbita dal crescente carico di adempimenti burocratici, progetti, comitati tecnici, riunioni, che rendono la scuola sempre più un’azienda in cui la prestazione tecnica si sostituisce al processo didattico ed educativo. Di cosa ha bisogno la scuola? Forse in assoluto è questa la domanda che accompagna sottotraccia tutte le altre domande di un docente. Di cosa hanno bisogno i docenti, gli studenti, tutti coloro che operano nel mondo scolastico? Certamente si ha bisogno di tornare a sentire quella fiducia che un tempo, neanche troppo lontano, era accordata alla scuola. Si ha bisogno di ritrovare le ragioni culturali e sociali, anche economiche e professionali, dell’impegno educativo e didattico; di tornare a sentire che il proprio lavoro è (anche dalle famiglie) considerato essenziale. Ci si scontra spesso con una realtà in cui non sempre la risposta a queste domande è quella che si vorrebbe; resta però il fatto che, quella promessa cercata, di vita e di senso, si realizza quasi sempre inaspettatamente, quando alunni e studenti, senza molti infingimenti, ti fanno capire che insegnare è ciò che sei chiamato a fare. Ancora oggi, col nuovo anno scolastico alle porte, avverto chiaramente che l’incontro con alunni e studenti, l’incontro con queste nuove promesse, è la ragione più grande e più forte che mi accompagna nel tornare in classe.